1) Cos’è il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD)?
Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) costituisce oggi una delle condizioni cliniche di maggior interesse, a fronte della sua diffusione sempre più frequente nella popolazione odierna. Il DSM-5 (APA, 2013) fa rientrare tale categoria diagnostica all’interno dei Disturbi del Neurosviluppo, gruppo di sindromi che esordiscono in età evolutiva e si manifestano tramite deficit che causano una compromissione significativa nel funzionamento personale, sociale, scolastico e/o lavorativo.
Nello specifico l’ADHD è caratterizzato da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione e/o iperattività-impulsività, che iniziano generalmente il loro decorso nell’infanzia, per poi continuare a manifestarsi in età scolare, adolescenziale e nei casi più complessi anche in età adulta.
Nel corso degli anni prescolari e della scuola elementare, la sintomatologia risulta più evidente ed acuta soprattutto in merito alla dimensione della disattenzione e dell’iperattività, la quale tende a stabilizzarsi nella prima adolescenza, ad eccezione di alcuni casi, in cui può presentarsi un peggioramento del quadro patologico, con la comparsa di comportamenti antisociali. Di base nella fase adolescenziale gli indici di iperattività si presentano sottoforma di agitazione e/o una sensazione interna di nervosismo, irrequietezza o impazienza.
2) Sintomi del disturbo da deficit di attenzione iperattività
Come anticipato, vi è un comune accordo su quanto i principali sintomi possano essere racchiusi in tre dimensioni, ciascuna delle quali può avere una compromissione che va da lieve a grave (APA, 2013).
- Disattenzione: si evidenzia sul piano comportamentale, con divagazione dal compito, mancanza di perseveranza, difficoltà nel concentrarsi, disorganizzazione non imputabile ad atteggiamenti di sfida o di mancata comprensione, cui si associano complicazioni nel completare compiti e seguire istruzioni.
- Iperattività: implica un’eccessiva attività fisica, simile ad un dimenarsi privo di fine, e loquacità, che si manifestano in momenti e situazioni in cui non sono appropriati.
- Impulsività: si manifesta con azioni estremamente affrettate, spesso con elevato rischio per l’individuo e talvolta per chi gli è vicino, data la mancanza di riflessione sulle possibili conseguenze. Essa può anche esprimere un desiderio di immediata ricompensa, la quale può presentarsi con la propensione a comportamenti invadenti, come interrompere gli altri durante una conversazione.
3) Cause e fattori di rischio dell’ADHD
L’origine di tale disturbo non riconosce una singola causa specifica, piuttosto la sua eziologia sembra dipendere dall’interazione di diversi fattori, prevalentemente genetici ed ambientali, i quali aumentano la possibilità di un suo sviluppo fin dai primi anni di vita di un soggetto.
- Fattori genetici
La genetica sembrerebbe giocare un ruolo significativo nell’ADHD: individui con parenti stretti che hanno avuto la medesima diagnosi o che presentano sintomi riconducibili a quadri caratterizzati da disturbi della condotta e/o iperattività, hanno un rischio maggiore di sviluppare tale sindrome (Zametkin A. J., 1989).
A ciò va aggiunto che nei casi di ADHD, diversi studi abbiano sottolineato l’implicazione di alcune alterazioni nella regolazione dei livelli dei neurotrasmettitori di tipo dopaminergico e noradrenergico, con influenza diretta su alcune funzioni esecutive, necessarie per regolamentare, controllare e gestire le attività di vita quotidiana (Brown T.E., 2008): capacità organizzative, concentrazione, attenzione, regolazione emotiva e utilizzo della memoria a breve termine.
- Fattori ambientali
Le ricerche condotte in merito a tale condizione clinica, non di rado hanno dimostrato il coinvolgimento di aspetti ambientali, che avrebbero un’influenza diretta sull’esordio del quadro sintomatologico, da un punto di vista cognitivo e comportamentale.
Il consumo di alcol e tabacco da parte della madre durante la gravidanza (Braun J.M. et al., 2006), così come la nascita prematura e basso peso perinatale, favorirebbero lo sviluppo del disturbo.
Altro ruolo importante è quello rivestito dalle interazioni conflittuali che si instaurano tra genitori e bambino, che costituiscono terreno fertile nella strutturazione di un’innata tendenza all’impulsività, proprio a fronte di un ambiente familiare incapace di contenere e regolamentare il comportamento. In questa prospettiva viene favorito il ricorso all’azione istintiva come modalità di gestione della tensione della frustrazione, a discapito di una più appropriata capacità riflessiva e di risoluzione delle conflittualità.
4) ADHD in età adulta
Sempre più necessario risulta tenere in considerazione, a partire dai dati clinici rilevati negli ultimi anni, quanto tale disturbo possa continuare a manifestarsi durante l’età adulta. Di fatto non soltanto una parte dei sintomi tipici dell’età infantile tendono a riproporsi, ma nuovi tratti fanno la loro comparsa e vanno a caratterizzare l’ ADHD nell’adulto, che appare associato ad una costellazione variegata di problemi psico-sociali (Young S., Toone B. e Tyson C., 2003).
Il profilo tipico dell’adulto che presenta tale condizione clinica è costituito da:
- Disattenzione cronica;
- Disorganizzazione;
- Impulsività verbale e comportamentale;
- Frequente stato d’animo legato alla noia;
- Labilità emotiva;
- Intolleranza alla frustrazione.
Va tra l’altro sottolineato che se un individuo ha convissuto per la maggior parte della sua vita con un quadro sintomatologico riconducibile all’ ADHD, senza mai aver ricevuto un adeguato esame diagnostico, potrà sviluppare forme di disagio, che si manifestano in comorbidità ad altre condizioni psicopatologiche. Ciò significa che storie di scarso rendimento scolastico e lavorativo, difficoltà relazionali e maggiori rischi di andare incontro ad eventi traumatici, si potrebbero presentare in associazione a disturbi di personalità, condotte suicidarie, ma soprattutto a dipendenza da sostanze, condizione quest’ultima che aumenta sensibilmente l’eventualità del coinvolgimento dell’individuo in procedimenti di tipo penale e giudiziario.
5) Trattamento e gestione del disturbo
Un primo aspetto da dover osservare, al fine di strutturare un efficace percorso terapeutico, è quello del ricevere un’appropriata valutazione diagnostica, indispensabile nel guidare i vari passaggi del trattamento. Ciò mette in primo piano la necessità di precisare che la diagnosi di disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività è piuttosto complessa e richiede la presenza di almeno tre elementi:
- Osservazioni comportamentali: valutazione del comportamento del bambino in diverse situazioni di vita quotidiana.
- Questionari e scale di valutazione: somministrati a genitori e insegnanti per raccogliere informazioni sui sintomi del bambino.
- Esame medico: per escludere altre condizioni mediche che potrebbero causare sintomi simili.
Una volta stabilita una corretta diagnosi, è possibile procedere all’implementazione di un percorso di cura, che come indicato dalle linee guida della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA,2002), deve seguire un approccio multimodale, composto da interventi su piani differenti e che riguardano tutte le figure coinvolte nella quotidianità del individuo con ADHD.
- Terapia farmacologica
Qualora si ritenesse necessaria una prescrizione farmacologica da parte del medico specializzato, generalmente i farmaci psicostimolanti, come il metilfenidato (Ritalin) e le anfetamine (Adderal), risultano i più indicati dal momento che consentono maggiori effetti positivi a carico del mantenimento dei livelli di attenzione, dell’impulsività e dell’iperattività. In alcuni casi, possono essere utilizzati anche farmaci non stimolanti, come l’atomoxetina (Strattera).
Tuttavia, affinchè ci siano miglioramenti significativi e durevoli nel tempo, è sempre bene ricordare che il solo utilizzo dei farmaci risulta insufficiente, ma occorre sempre affiancare un percorso psicologico e/o psicoterapeutico per il bambino ed un supporto a genitori ed insegnanti nella comprensione e nella gestione dei comportamenti problematici.
- Terapia comportamentale
Un supporto psicologico e terapeutico che fornisca indici cognitivi e comportamentali, risulta fondamentale nell’insegnare al bambino strategie che lo guidino in modo sistematico alla pianificazione dei propri comportamenti nei diversi contesti di vita e nella risoluzione dei problemi (Isola L., Mancini F. 2007).
Grande attenzione deve essere rivolta allo sviluppo di capacità riflessive e di autoregolazione della propria impulsività ed attenzione, con lo scopo anche di incrementare le abilità sociali, che risultano spesso danneggiate dalla difficoltà di decodificare il proprio e l’altrui stato emotivo.
- Interventi con genitori ed insegnanti
Programmi di intervento con genitori e insegnanti hanno in primo luogo l’obiettivo di accrescere la consapevolezza e la conoscenza del disturbo ADHD, sviluppando capacità di gestione delle difficoltà, tramite la modifica dei comportamenti disfunzionali messi in atto nella relazione con il bambino.
Nel caso di Trainig con i familiari il focus principale dell’intervento è posto sullo sviluppo di maggiori abilità riflessive per aiutarli ad acquisire più coerenza e stabilità nelle proprie strategie educative, che aiutino e sostengano il bambino nell’autogestione cognitiva, emotiva e comportamentale (Vio C., Marzocchi G. M., Offredi F., 1999).
Il lavoro con gli insegnanti (Teachner Training) deve essere centrato sul fornire informazioni utili alla strutturazione di un ambiente scolastico che tenga in considerazione le necessità e le peculiarità del bambino iperattivo, in modo da potenziare e facilitare non solo il processo di apprendimento, ma anche di correggere i comportamenti disfunzionali messi in atto nei confronti del gruppo classe. Da questo punto di vista possono risultare di sostegno lo stabilire Piani Educativi Individualizzati (PEI) e adattamenti scolastici, come includere tempi extra per i compiti, ridurre le fonti di distrazione, definire istruzioni e regole chiare in merito a comportamenti ed atteggiamenti da mantenere in classe.
6) Conclusioni
L’ADHD è un disturbo complesso che richiede un approccio multidisciplinare per la diagnosi e il trattamento. Con una gestione adeguata, i bambini e gli adulti con tale sindrome possono sviluppare le competenze necessarie per avere successo nella vita quotidiana, lavorativa e scolastica. È importante collaborare a stretto contatto con professionisti sanitari, educatori e famiglie per fornire il miglior supporto possibile e garantire la strutturazione di un ambiente rispettoso ed inclusivo verso tutti coloro che ne sono affetti..
Bibliografia
American Psychiatric Association (2013), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta edizione. DSM-5 Text Revision, Raffaelo Cortina Editore, Milano (2015).
Braun J.M., Kahn R.S., Froehlich T., Auinger P., Lanphear B.P. (2006), “Exposures to environmental toxicants and attention deficit hyperactivity disorder in U.S. children”, Environ. Health Perspect., vol. 114, n. 12, pp. 1904-9.
Brown T.E. (2008), “ADD/ADHD and Impaired Executive Function in Clinical Practice”, Current Psychiatry Reports, vol. 10, n. 5, pp. 407-411.
Isola L., Mancini F. (a cura di) (2007), Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza Seconda Edizione, Franco Angeli Editore, Milano.
SINPIA (2002), Linee guida ADHD: diagnosi e terapia farmacologica.
Vio C., Marzocchi G.M., Offredi F. (1999), Il bambino con deficit di attenzione/iperattività, Erickson, Trento.
Young, S., Toone, B., & Tyson, C. (2003), “Comorbidity and psychosocial profile of adults with Attention Deficit Hyperactivity Disorder”, Personality and Individual Differences, n. 35(4), pp. 743–755.
Zametkin A.J. (1989), “The neurobiology of attention-deficit hyperactivity disorder: a synopsis”, Psychiatric Annals, n.19, pp. 584-586.